Reso noto il testo della “Lettera aperta di San Ferdinando ai cittadini di San Ferdinando di Puglia”. Il documento è stato letto nella mattinata di ieri da mons. Domenico Marrone, parroco di San Ferdinando Re, del quale egli è l’autore, a conclusione della messa solenne delle ore 11.00 presieduta da mons. Leonardo D’Ascenzo, arcivescovo di Trani-Barletta-Bisceglie, nell’ambito della Festa del Santo Patrono della Città.

«Carissimi sanferdinandesi,

Sin dalla celebrazione della prima festa patronale, dal 30 maggio 1849, quando l’allora Pontefice Pio IX, “aderendo alle vostre pie brame, vi accordò di essere vostro ispeciale Proteggitore”, non ho mai smesso di accompagnarvi nel vostro non facile, ma promettente cammino di crescita.

So bene che state vivendo un momento storico difficile, di incertezza economica, di frammentazione sociale, di involuzione civica, morale e culturale.

Mi è altresì nota la sofferenza che vivete a causa della stretta sempre più soffocante dei nuovi vassallivalvassori e valvassini (come si chiamavano ai miei tempi), che si contendono il potere sulla città e periodicamente bagnano di sangue il vostro ferace suolo. E così l’idea di una comunità che “progredisce” in maniera costante e inarrestabile non trova il suo momento favorevole.

Comprendo che per alcuni la sfiducia di fronte a chi annuncia il futuro come un’epoca di progresso è comprensibile. Non è nemmeno opportuno guardare al passato come modello per il presente e il futuro, perché, anche se bisogna rivolgersi ai ricordi per rivivere momenti positivi, spesso il passato è idealizzato e a volte è un’illusione.

Carissimi sanferdinandesi,

il mondo è cambiato e sta cambiando troppo in fretta. Dovete essere capaci di esaminare e analizzare il presente con occhi critici, così da rilevare le problematicità che vi angustiano e, uniti negli sforzi, utilizzare le vostre capacità e la vostra immaginazione per trovare soluzioni.

Tutti, quindi, dovete mobilitarvi: non potete lasciare nelle mani di pochi il destino della vostra comunità cittadina. In qualsiasi caso nessuno può disattendere alla propria responsabilità.

Volete essere sudditi o cittadini? Ai miei tempi questa distinzione rilevava una grave disuguaglianza sociale e chi ne aveva la possibilità da suddito desidera diventare cittadino: il suddito era persona economicamente debole, talvolta emarginata che cercava di abbandonare la sua misera condizione per conseguire maggiore benessere e maggiore partecipazione sociale.

Oggi per voi “suddito” o “cittadino”, non sono due categorie sociali ma due opposte modalità di vivere la coscienza civica: ciò che distingue il suddito dal cittadino è la capacità di reazione politica, la volontà di prendere il proprio destino in mano.

Oggi molti ricchi e potenti hanno un animo da suddito, molti poveri ed emarginati si muovono con lo spirito del cittadino. Oggi, il suddito è la persona rassegnata, sottomessa, obbediente mentre il cittadino partecipa alle decisioni collettive, immagina e programma, in ambiti piccoli e grandi, per ottenere un mondo migliore anche quando non ha molti mezzi per vivere.

Ciò che oggi vi trasforma in cittadini è la vostra capacità di impegno sociale e politico. Sappiate che è cittadino colui che sta sempre all’erta, vigile e pronto all’azione. La cittadinanza resta il campo privilegiato per l’intervento cosciente delle persone, in vista della trasformazione della società.

E’ la cittadinanza che può rinnovare la società, ridisegnando la gestione della cosa pubblica e riaffermando le sue finalità. E’ la crescita della cittadinanza che garantisce la messa in pratica di quei valori che nascono come sogno e poi si incarnano nella società.

Sappiate che senza l’esercizio della cittadinanza questi valori restano un’utopia che, se rimane inaccessibile, può provocare frustrazione e sfiducia. La cittadinanza ha l’impegno di rendere reali le utopie. Coltivando la cittadinanza si ottiene una società più umana e più giusta. La cittadinanza deve essere il campo sempre aperto alla vostra partecipazione.

Impegnatevi a superare il lassismo diffuso perché il vostro (anzi il nostro!) paesello non sia un ostello senza regole, non assomigli al giardino di Renzo.

Renzo Tramaglino, se vi ricordate (Manzoni, Promessi Sposi, capitolo XXXIII) dopo due anni di assenza, dopo il matrimonio saltato, i disordini di Milano, la sua fuga nel Bergamasco, la peste ancora in corso, ritorna di nascosto al paesello natale, passa davanti a casa e vede che la vigna, l’orto, il cortile, tutto si è inselvatichito.

È l’impressione che suscita il nostro paese a tanti compaesani che vi tornano dopo alcuni anni di residenza lontano e fanno fatica a riconoscerlo. Un paese “inselvatichito”. Estremamente disordinato e, in fondo, disadorno di quei comportamenti civili degni di ogni umana convivenza.

Bandite ogni chiacchiera e ogni facile polemica che rapidamente s’insinuano in ogni anfratto, soprattutto attraverso i social, scardinano le complesse intelaiature di chi vuol edificare, minano le stessa fondamenta delle argomentazioni più ardite.

Ciascuno rammenti che la coscienza civica di una comunità non è uno stato acquisito permanentemente, privo di scossoni o di pericoli più o meno palesi. È una condizione che bisogna continuamente conquistarsi.

Occorre però studiare, conoscere e comprendere, analizzare, capire, leggere, discutere, dibattere, coinvolgere, impegnarsi e non fuggire dinanzi al confronto, anche aspro, sulle idee. Per vedere crescere il senso civico si può anche soffrire, poiché la sua assenza sarebbe una sofferenza ancora più grave, come tutti, purtroppo, già state sperimentando.

Sì, perché vivete tempi in cui l’esasperazione dell’individualismo pone a serio repentaglio lo stare assieme. Il culto del privato ha ormai superato l’argine della decenza sociale. Non dimenticate che cittadini non si nasce, ma si diventa.

Non posso non ricordarvi che alla base della crisi di senso civico che attraversa questa piccola comunità c’è una recessione spirituale che non riguarda soltanto lo stile di vita personale di ciascuno ma soprattutto l’amnesia collettiva del bene comune che consiste nel superamento del proprio immediato tornaconto personale o di partito per tendere ad un bene che possa essere di tutti oltre che proprio.

Tengo a precisare – soprattutto ai più devoti – che chi pensa che la spiritualità non abbia a che fare con le problematiche sociali rischia di vivere separato dalla storia. La politica, l’economia, la gestione del bene comune, il senso civico sono tematiche che riguardano la vita di ogni credente e che trovano ospitalità in ciò che si chiama “dimensione spirituale”.

Anzi, l’impegno per la città terrena vi prepara alla piena cittadinanza nella città celeste. Vi fa correre il rischio persino di diventare santi. Parola di chi questo rischio l’ha vissuto fin in fondo.

Carissimi sanferdinandesi,

ritornate a provare il gusto di vivere onestamente. Abbiate a cuore di dare a ciascuno ciò che ha diritto di avere. Non disdegnate di fare il bene, sempre: a chiunque, comunque, ovunque.

Attivatevi a conoscere i vostri doveri e i vostri diritti, rispettando le regole della comunità. Guardatevi dal danneggiare mai consapevolmente niente e nessuno. Ribellatevi all’indifferenza, all’omertà, al silenzio, per migliorare il luogo in cui vivete e le abitudini sbagliate di molte persone.

Sappiate riconoscere, in caso di errori, di aver sbagliato e abbiate abbastanza autostima da sapere che si può ricominciare. Industriatevi nel favorire l’integrazione nella società delle persone di versa etnia, cultura, fede. Gareggiate nell’aiutare generosamente le persone che sono in difficoltà.

Quando non riuscite a risolvere i conflitti, cercate forme di mediazione. Sappiate sviluppare sempre un comportamento assertivo, cioè fate qualcosa che è positivo in ugual misura per voi e per gli altri.

Carissimi,

il futuro di questa ancor giovane comunità è aperto e per il momento rimane consegnato a ciascuno di voi, a tutti coloro che nutrono una sincera amicizia civica e si spendono quotidianamente per dare testimonianza concreta di quell’insieme di valori racchiusi in quell’autentico scrigno che è la coscienza. La sfida è davvero ardua. Ma non è certamente il momento delle spossatezze o delle insicurezze, è il momento del coraggio a riprendere il cammino.

Su la schiena, o mia San Ferdinando di Puglia!

Mi raccomando: qui in Paradiso fatemi provare la stessa fierezza di tanti miei colleghi santi ogni qualvolta parlano delle città a cui accordano la lor protezione. Finora timidamente ne faccio menzione. Da voi dipende anche la mia beata soddisfazione. Ci conto».